E ancora una volta va così, che giochiamo in trasferta contro una diretta concorrente, che dominiamo dall’inizio alla fine tranne cinque minuti, che in quei cinque minuti ci segnano e ci tolgono la vittoria.
A Dolzago fa freddo, sul campo ormai dobbiamo giocarci a calcio ma sarebbe più indicato per pattinare: si capisce dalle tribune che è duro come i ghiacci dell’Antartide, i giocatori faticano a stare in piedi, non c’è un punto in cui la terra ceda sotto i tacchetti. Ci schieriamo con il nostro modulo, il 4-3-3 di sempre: in porta Pota, in difesa da destra a sinistra Simic, Lillo, King, Jeky, a metà Cian, Wolly, Gioele, davanti Fabio, sulle fasce Pane e Cesco. E’ a malapena cominciata la partita che l’Arcadia si porta in vantaggio, su un tipo di azione che ci fa sempre soffrire: la palla è nella metacampo avversaria, loro ce la rubano e attaccano la nostra difesa, che è piazzata ma è anche altissima e scoperta dal centrocampo, e si trova ad affrontare degli avversari che la attaccano correndole incontro. E a quel punto invece di scappare prudentemente indietro e cedere campo stringendosi a protezione del fortino, tentiamo l’all-in della linea alta a mettere in fuorigioco l’attaccante che sta scattando: stavolta, come altre, perdiamo l’all-in e prendiamo l’imbucata sull’ala destra, e a quel punto abbiamo gli attaccanti che possono correrci davanti perchè tanto sono in posizione regolare, e l’ala arriva sul fondo e la crossa in mezzo bassa e prendiamo gol. Uno a zero per loro. Giova segnalare che in effetti l’all-in è una scelta pericolosa e noi la perdiamo, ma le carte sono truccate, perchè l’ala parte in posizione evidentemente irregolare.
Bene, qui finisce Arcadia Dolzago-Grosio, e comincia Grosio-Grosio, con guest star l’arbitro. Sì, perchè dal gol fino al novantesimo ci siamo sostanzialmente solo noi in campo: l’Arcadia non fa stravedere, ci lascia campo e ha limiti difensivi che ci permettono di attaccare con costanza. Nel primo tempo arriviamo una quantità imprecisata di volte sul fondo dalle fasce, mettiamo il rasoterra in mezzo, ma non ci siamo mai a concludere. Arriviamo molto spesso in zona tiro, ma deve esserci una scommessa di squadra che premia chi segna senza tirare in porta, perchè tantissime volte potremmo tirare ma non tiriamo, aspettiamo di avere coordinazione perfetta e dintorni deserti da avversari. Ca va sans dire, guadagnamo un calcio d’angolo dietro l’altro, ma nonostante la nostra dotazione di marcantoni, non riusciamo mai a cavarne pericoli veri. Se fossimo all’oratorio con la regola del “corner tre rigore”, staremmo vincendo 4-0. Ma non siamo all’oratorio, anche se a cinque minuti dall’intervallo l’arbitro ci riporta ai pomeriggi del Grest: il terzino dell’Arcadia incita i suoi con un’imprecazione, diciamo così, colorita, e il direttore di gara – forse col peso del gol assegnato in fuorigioco sul groppone – estrae il cartellino rosso. A questo punto il terzino si barrica nell’improbabile linea di difesa “Ho detto zio”…non ci crede nessuno.
Finisce il primo tempo, the caldo, e poi si rientra in campo: siamo in superiorità numerica, vogliamo spaccare il mondo, e dobbiamo badare a non invocare nessuno zio in nostro aiuto. L’Arcadia toglie un attaccante e si mette giù col 3-5-1: è un disastro, perchè noi li chiudiamo all’indietro, gli esterni si schiacciano sulla difesa, e sulle fasce siamo sempre in superiorità numerica. Creiamo situazioni, buttiamo palle in mezzo, prendiamo calci d’angolo, ogni tanto tiriamo in porta ma troppo poco. I padroni di casa si risistemano a quattro dietro nel tentativo di alzare gli argini a destra e a sinistra, e noi proviamo a sfondare in mezzo: tra le altre cose avanziamo King a fare il centravanti insieme a Fabio, un po’ come il Barca di Guardiola che quando doveva recuperare mandava a quel paese il tiki taka e alzava Piqué in prima linea. E’ un assedio, che ci porta un numero abnorme di calci d’angolo e un possesso palla bulgaro-catalano, che se lo misurassimo probabilmente saremmo all’80%.
E l’assedio porterebbe anche alla caduta delle linee nemiche, non fosse che l’arbitro grazia in due occasioni i difendenti: prima su una palla lenta crossata dalla trequarti un difensore ha la mano larga, larghissima, sembra il disegnino che c’è sul regolamento per spiegare cosa significhi “mano staccata dal corpo”, insomma è larga e colpisce il pallone platealmente in piena aria e non abbiamo mai visto negare il rigore in un caso del genere, ma l’arbitro non fischia. E poi poco dopo, guarda un po’ su calcio d’angolo, c’è il classico rigore “da ultima mezz’ora in Seconda Categoria”: cross, la difesa respinge la palla di testa ma la palla è in area e rimbalza lentamente verso il limite, arriva un difensore che è stanchissimo e non vede quello che gli sta succedendo intorno e pensa soltanto che fa freddo e che bisogna spazzare quella palla di merda, e però l’attaccante – nel nostro caso Lillo – è un po’ più furbo e voltando il culo alla porta si mette tra la palla e il difensore, che a questo punto ha smesso di pensare e sta calciando e prende sì un po’ di palla, ma soprattutto i polpacci dell’attaccante. Va così, e abbiamo visto dare sempre e in ogni luogo rigore, ma il 22 gennaio 2017 a Dolzago funziona diversamente, e si continua come niente.
Stiamo entrando nell’ultimo quarto d’ora e in una delle occasioni in cui attacchiamo a testa bassa il centro anzichè aggirare sulle fasce segnamo il gol dell’1-1: ci sono un paio di rimpalli, a un certo punto la prende Wolly che gioca a King e si lancia nello spazio, King restituisce il passaggio, Wolly è solo davanti al portiere ed è parità. A questo punto c’è un po’ di riflusso e l’Arcadia si porta in avanti, costruendo un tiro in porta e due contropiede su cui è fenomenale in chiusura Daniele, nel frattempo entrato al posto di Lillo. Noi continuiamo a chiuderli dietro, ma passiamo troppo dalle fasce e poco dal centro, e soprattutto continuiamo a tirare troppo poco in porta. E sì che le condizioni sarebbero perfette: il campo è ghiacciato, il portiere si deve muovere a piano per non scivolare, la palla invece si muove veloce, e infatti su due tiracci senza pretese da venticinque metri quasi segnamo e comunque prendiamo il corner. A un certo punto Fabio si trova solissimo davanti alla porta, ma è anche lui preso dalla sindrome del “piedino corto” e invece di tirare, in qualsiasi modo, finisce per andare addosso al portiere in uscita e al difensore in chiusura. La superiorità è schiacciante ma non segnamo, e finisce 1-1.
Guardando il bicchiere mezzo pieno, possiamo essere contenti di aver preso un punto in trasferta e tenuto l’Arcadia ancorata al fondo classifica. Ma il bicchiere non è mezzo pieno, è quasi vuoto, perchè una partita così la potevamo e dovevamo vincere, come avremmo dovuto vincere a Missaglia, come avremmo dovuto vincere a Mandello. Ma la cosa bella delle delusioni è che ti fanno imparare, e se stai giocando a calcio hai subito l’occasione per riscattarti.
Nella fattispecie, domenica prossima, in casa contro l’Olympic Morbegno: una squadra forte, ma sappiamo benissimo che ce la giochiamo alla pari contro chiunque. Con la rabbia di chi deve risalire, con la spinta del nostro pubblico, vediamo di riuscire a riprenderci i tre punti che abbiamo appena buttato via, se Zio vuole.
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