C’è qualcosa nell’aria delle domeniche di settembre. La sera prima sentivi i bambini giocarsi in cortile gli ultimi scampoli d’estate, al mattino sono in casa a fare i compiti. Le campane chiamano alla messa padri e figli che poi escono insieme dalla chiesa verso il cimitero. Scendendo su Via Fojanini fin dove diventa a senso unico eccetto biciclette e mezzi agricoli, il mondo è statico e rassicurante come una fotografia della Prima Comunione. Fili d’erba immobili nell’aria immobile, luce satinata sfregiata dal frinire dei grilli, forse il ronzio dei cavi della luce ma viene il dubbio: chi mai può essere sveglio e usare corrente, e per cosa, in un mattino tanto sonnolento?
I castelli siedono imponenti sopra le viti che, sarà la luce diversa e il diverso periodo dell’anno, hanno perso la brillantezza da Gatorade del mese di agosto ed esibiscono brune una sobrietà che ha qualcosa di profondamente grosino, e contradditorio, e commovente.
Arriva il Calolziocorte e si gioca la seconda di campionato, prima in casa: a guardare la classifica dell’anno scorso, loro sono destinati a viaggiare in prima classe e noi più giù. Ma ci si siede, ci si schiera, con lo stesso 4-4-2: per noi iniziano gli stessi di una settimana fa – Pota in porta, da destra a sinistra dietro Matteo-Daniele-King-Roby, a metà Pane-Claudio-Mare-Gilardi, davanti Cesco e Nick. Mister Zé fa la stessa cosa che ha fatto a Berbenno: comincia con Pane a destra e Gilardi a sinistra e li inverte dopo cinque minuti, e non è chiarissimo il perché ma ogni tanto lo fa anche Spalletti e una logica c’è di sicuro. Il Calolzio gioca in modo meccanico ed efficace, palla avanti alle punte-palla indietro-palla avanti per le ali, e passa poco tempo che proprio un’ala colpisce il palo. Noi giochiamo come giocherebbero il calciobalilla degli omini veri e non di plastica: frenesia, ritmo tambureggiante, muoviamo la palla che sembra un flipper e tutto risulta un po’ caotico ma efficace perché abbiamo gente tecnica che si esalta negli spazi stretti e perché quando cambiamo lato d’improvviso si crea l’uno contro uno, e le nostre ali non è che siano proprio scarse. Pane inventa l’occasione più grossa del nostro primo tempo: si avventa su un difensore disattento, gli ruba la palla, lo aggira (il difensore disattento) e la mette in mezzo (la palla) sui piedi di Daniele, su cui però il portiere si avventa come un gatto e respinge. Il primo tempo va così, finisce pari ed è equilibrato, e anzi la pallina del calciobalilla resta più nella loro metà che nella nostra.
Il picco di richiesta di energia elettrica e quindi di prezzo, insomma il momento in cui girano di più le turbine di solito è la sera, quando si accendono le luci, o il tardo pomeriggio, quando qualche lampadina si aggiunge ai macchinari delle industrie. In questa mattina del 16 settembre 2018 le industrie sono chiuse e c’è abbastanza sole da lasciar la luce spenta, e tutto appare così lento e sonnecchiante che è difficile immaginarsi consumi diversi da qualche phon, macchine del caffè, bollitori. Poca roba, ma c’è da dire che il guardiano della diga lo devi comunque pagare, e se la diga è piena le turbine girano, fosse anche solo per asciugare i capelli alle vecchiette milanesi.
Il primo quarto d’ora del secondo tempo è ancora di livello, c’è abbastanza energia per far girare il flipper e costruiamo due occasioni notevoli: prima Cesco fa il diavolo a quattro sulla trequarti e scodella per la testa di Nick sull’area piccola, dietro al difensore, ma Nick non la prende; poi davanti all’area c’è una di quelle situazioni da centrocampo del calciobalilla, palla a loro-palla a noi-palla a loro-palla a noi finchè poi la palla passa, e l’attaccante esterno di sinistra è Pane che infila la difesa ed è solo davanti al portiere, ma il portiere si dimentica di essere fissato in porta da una stecca ed esce a valanga e salva tutto. E’ passata un’ora e non abbiamo segnato ed è un problema, perché calano le energie di cui si nutre il nostro calcio-frenesia e loro sono metodici e pazienti e basta aspettare che prima o poi la volta buona arriva: prima Pota è bravo a bloccare un rasoterra dal limite dell’area; poi è maldestro in uscita ma l’attaccante sbaglia; poi è sfortunato perché c’è una punizione e sta piazzando la barriera e l’arbitro gli ha detto di star tranquillo che fischia lui ed effettivamente fischia lui, ma intanto Pota sta ancora piazzando la barriera: quello che batte la punizione vede tutto e tira sul palo scoperto, Pota ci arriva in ritardo ed è gol; ovvio e giustificato contorno di proteste ma tant’è. Siamo sotto e senza energie, e praticamente la partita finisce qui: loro sono quadrati e il nostro calciobalilla esausto genera frustrazione e proteste ma non un’occasione che si possa definire tale, e finisce uno a zero per loro.
Finisce uno a zero e son le cinque e mezza, e andiamo via veloci perché tra mezz’ora c’è la messa. Il sole del mattino è scomparso, sul prato della Villa qualche macchia di foglie marroncine ai piedi degli alberi. La bruma tiepida di fine estate sulle montagne. Le viti appaiono malinconiche in controluce, mentre soffia freddo il tramonto dalla valle.
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