Istantanee immaginarie dal Festival dello Sport di Trento:
Nel 2010 abbiamo vinto la Coppa Italia, lo Scudetto, la Champions League. Nessuno lo aveva mai fatto prima. È stata una grande soddisfazione. (Javier Zanetti dialoga con Enrico Mentana durante l’incontro “L’Inter del Triplete”)
Dal 2012 la costante tensione verso la vittoria ci ha portato sette scudetti di fila. Ne siamo molto orgogliosi. (Andrea Agnelli dialoga con Stefano Barigelli durante l’incontro “Il calcio, lo sport record nel mondo”)
I bambini di oggi mi conoscono per la Levissima, ma io nel 1978 sono stato il primo uomo in cima all’Everest senza bombole d’ossigeno. Io e Peter Habener. Una sfida in cui abbiamo vinto la natura, rispettandola. (Reinhold Messner dialoga con Sandro Filippini durante l’incontro “Messner e la sua impresa più famosa”)
Nel 2018 vincevo con due gol di scarto, e mi sono fatto segnare il pareggio all’ultimo minuto di recupero. L’ho fatto per tre volte di fila. Mi sento un po’ coglione. (giocatore del Grosio dialoga con Maccio Capatonda durante l’incontro “Burle”)
Inizio di autunno, montagne variopinte e aria tiepida che si rinfresca sulle ossa appena il sole scende. Alla Ganda arriva il Dubino per il quarto derby di inizio stagione: noi indossiamo il 4-4-2 e loro una maglia orrenda, che vien da chiedersi perché mai una squadra di calcio rossoblù debba vestirsi come la cenere al Mercoledì delle Ceneri. In porta Lele, dietro Matteo-King-Daniele-Roby, a metà Pane-Claudio-Mare-Gila, davanti Python e Nick. Stiamo guardando lo smartphone per dire al vicino a che ore è iniziata, e ci perdiamo il gol di Python: il nostro pressa il portiere con la devozione di uno scolaro maturo, pressa il portiere che si sa nel gioco di oggi deve usare bene anche i piedi, che nella partita di oggi i piedi li usa molto male: rinvio addosso a Pyhton e 1-0. Il colpo di gluteo stordisce gli ospiti che costruiscono ben poco, e dopo un quarto d’ora facciamo il secondo: Gila sulla sinistra resiste alla carica dal terzino con la solida velocità di un centometrista a ostacoli, scambia e corre, semina il terzino e la mette in area all’indietro per Nick; Nick infila con un bel sinistro sul palo lontano, ed è 2-0. Quasi per inerzia il Dubino abbozza una reazione e crea qualche presupposto di pericolo con cross in mezzo, mischie in area, palle tagliate, ma vere occasioni ne nascono poche. Noi potremmo fare il terzo prima con un tiro da fuori di Gila, poi con un colpo di testa di Python, ma non va. Nel finale del primo tempo due episodi che potrebbero chiudere la partita. Prima il capitano ospite entra su uno dei nostri risoluto come un ranghinatore: l’arbitro condona con il giallo. Poi è l’ultimo minuto e il portiere esce sgraziato travolgendo in area Gila, che nel frattempo ha preso il pallone: fine primo tempo. Nel senso, davvero, l’arbitro fischia la fine del primo tempo.
Alzo le mani quindici volte a partita. Un po’ urlo agli altri. Un po’ l’arbitro. Cosa vuoi che ti dica, ci vuole rispetto. Non mi ammoniscono mai. (Miralem Pjanic dialoga con Patrick Vieira sulla Promenade des Anglais)
Bastano cinque minuti di secondo tempo per cominciare a chiedersi quanti altri gol faremo prima di andare a casa: il Dubino è sottotono e crea niente, a noi basta un lancio appena calibrato per essere pericolosi. E infatti il terzo gol lo segniamo noi. Nella nostra porta. C’è un cross dalla destra, forse da calcio d’angolo, Lele esce ma la devia goffamente in rete ed è 2-1. Il tempo scorre e loro fanno poco, e noi facciamo poco, e noi non riusciamo a mettere in ghiaccio la partita, e onestamente potremmo farlo perché il Dubino di oggi non è il Cosio né il Costamasnaga: ma invece di tenere palla e farli correre e magari aprire spazi ci abbassiamo, ci abbassiamo e la buttiamo avanti e aspettiamo che la ributtino dalla nostra parte. Nel frattempo il capitano ospite cerca in tutti i modi di rimediare all’errore dell’arbitro che non l’ha espulso: prima stende Mare e gli ringhia con uno sguardo malvagio ma allo stesso tempo intelligente, poi scalcia Gila in ritardo, poi attacca una cicca sulla bandierina di Davide Spèla. L’arbitro chiude occhi, bocca e orecchie e disegna sul referto le scimmiette di Whatsapp. Il tempo scorre come domenica scorsa e l’altra ancora, tutto scorre come un fiume, fino alla diga dell’ultimo minuto di recupero. Rimessa laterale per loro in zona d’attacco, e noi siamo bassi, e loro battono la rimessa e noi siamo bassi e la respingiamo, e arriva uno di loro sulla trequarti e noi dovremmo uscire decisi a contrastarlo ma siamo bassi, ma siamo bassi, e lui tira forte e centrale e Lele non la prende ed è 2-2.
L’arbitro fischia la fine e l’autunno è più vecchio di due ore. A Trento sale sul palco Filippo Tortu e le montagne della Ganda sembrano disegnate, tavolozze verdi sprizzate di arancione e giallo ruggine. Oltre le recinzioni e il campo da tennis, oltre il campanile, gli ultimi raggi di sole riscaldano la valle in un bagliore azzurrognolo che sembra un’alba. Ma è soltanto il tramonto.
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