Sommando le precipitazioni che 3BMeteo prevedeva tra sabato passato e venerdì prossimo, si ottiene una quantità totale nell’ordine dei 60 centimetri. Significa che con un tetto di 100 m2 e un serbatoio di raccolta grande a sufficienza, in una settimana potreste raccogliere l’acqua necessaria a circa quattro mesi di consumi idrici della vostra famiglia. Quattro mesi senza attaccarsi all’acquedotto grazie a sette giorni di pioggia.
Il sindaco di Milano ha chiesto ai cittadini di posticipare l’accensione dei riscaldamenti oltre il 15 ottobre, perché le temperature sarebbero state comunque calde, perché il livello di polveri sottili era già pericolosamente alto. C’è da scommettere che abbia brindato alla settimana di pioggia, che risciacquando l’aria la pulisce meglio di qualsiasi divieto o domenica a piedi.
Gli scienziati sostengono concordi che il cambiamento climatico è un fatto, che l’ha causato l’uomo, che i nostri bei ottobre di venti lievi e castagnate saranno sempre più spesso preda di ondate di calore e pioggia torrenziale. E non esiste un piano di difesa realistico: ormai la macchina del clima viaggia inesorabile verso il burrone, e scatarra particolato su un mondo di siccità e tempeste che raggiungerà nel tempo di una vita, una stagione.
A Grosio è in corso il secondo giorno di diluvio universale, e l’ottava giornata di campionato ci vede affrontare una enigmatica Giovanile Canzese: se guardiamo alla storia, sono una squadra da zona salvezza; se guardiamo alla classifica, sono una squadra da primi posti. Altrettanto enigmatico è il nostro livello, ma certo non il modulo: ci schieriamo col solito, classico 4-4-2 che vede Pota in porta, Roby-King-Daniele-Matteo, Pane-Claudio-Mare-Gila, davanti Fabio e Cicala. E dopo dieci minuti siamo già sopra 2-0: prima Gilardi rientra in serpentina da sinistra, passa la palla a Fabio che prova a stoppare, o a ritornarla, o a fare qualcos’altro che non si capiva ma alla fine la palla torna a Gila, che è solo davanti al portiere e infila nell’angolino basso. Poi Cicala galleggia come una boa sulla linea del fuorigioco, sul limite dell’area, è leggermente spostato verso sinistra e Mare lo pesca con un passaggio delizioso, Cicala addomestica la palla come fosse uno yo-yo e disegna un pallonetto sul portiere in uscita. Doppio vantaggio, e il dilemma prepartita pende verso la Giovanile squadra da salvezza. Ma in un attimo tutto cambia. Loro cominciano a martellare: palla all’ala destra, cross ben calibrato, la nostra difesa va in difficoltà, uno di loro la infila sul secondo palo. Accorciano le distanze. Passano due minuti, giocano al limite dell’area, noi ingenui, noi ingenui ne buttiamo giù uno, punizione, tiro deviato, gol. Pareggiano. Passano quattro minuti, stanno giocando in area, noi ingenui, noi ingenui ne travolgiamo uno, è rigore, tiro teso, tiro sotto il braccio di Pota. Sono sopra. In meno di dieci minuti abbiamo preso tre gol e lasciato girare la partita. Nel resto del primo tempo si segnala una bella punizione di Fabio sulla traversa, poi l’arbitro fischia e si rientra ed è 3-2, e che rabbia.
L’arca di Noè è la declinazione del diluvio universale che più conosciamo. Ma non è l’unica. C’è il mito greco di Deucalione, mandato sull’arca dagli dei per scampare le acque e generare una nuova umanità. C’è Il dio mesopotamico Enlil, cui gli uomini tentano di ribellarsi e lui per tutta risposta che fa? Ordina il diluvio per sterminarli. C’è il mito di Manu, saggio indù che sopravvive al diluvio con l’aiuto degli dei e diviene padre di tutti gli uomini. Alcune di queste storie raccontano un genere umano alla deriva e degno di punizione. Altre no. Ciò che tutte hanno in comune – oltre a una gran quantità di acqua – è che dopo il diluvio inizia un’era nuova di prosperità.
Il secondo tempo ha la stessa frenesia del primo, ma lontano dall’area di rigore. Noi ci spezziamo immediatamente in due tronconi: le due punte più due ali si schiacciano sulla difesa avversaria, i quattro difensori stanno dietro, e i due mediani vanno un po’ dove capita. Giochiamo quasi solo la palla lunga, spesso direttamente dalle fasce, quasi mai passando dal centro. Loro hanno un po’ più di struttura ma non è che ce ne cavino molto. Le zone davanti alle linee di difesa paiono dei giganteschi flipper, dove ci si contende all’arma bianca la sponda, il passaggio, la seconda palla. Si crea pochino da entrambe le parti. Abbiamo molte palle inattive ma calciamo quasi sempre male, e la nostra migliore occasione viene da una volata di Gila e cross in mezzo a Fabio, che però gira a lato. Poco dopo il loro centravanti (davvero bravo) buca la linea ed è a tu per tu con Pota, che devia miracolosamente. Ma a cinque minuti dalla fine si chiudono i giochi: uno di loro entra in area solo, leggermente verso sinistra, calcia rasoterra ad incrociare dove Pota arriva col braccio ma non tiene. Finisce 4-2.
Si sta facendo buio e gli alberi del Mont de Lè sono inzuppati come spugne di mare, foglie rosse e giallo cupo e rami ricurvi sotto il peso del diluvio. A fondovalle, nuvole di umidità paiono fumi risputati dagli aghi di pino e larice, fumi scaricati da secoli di ciminiere e camini industriali che la natura non può più trattenere. Usciamo dagli spogliatoi che l’arca di Noè è ancora in porto. Tra non molto partirà.
Leave a Reply