C’è qualcosa di profondamente stonato nella festa del 4 novembre. Una nota che risuona fuori posto nelle parole dell’inno nazionale, nelle piazze intitolate a Luigi Cadorna e Armando Diaz, sotto le parate, le divise, le fasce tricolore. Una nazione che ha scritto nell’anima di ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali celebra le forze armate, la vittoria schiava di Roma, le conquiste militari.
La stessa contraddizione è scolpita nell’iconografia di alcuni Monumenti ai Caduti, in modo più armonioso e per questo più sconfortante: vittorie alate e trombe e parole di gloria ed eroi laddove ci dovrebbe essere solo rispetto, e silenzio, e lacrime. C’è ovviamente, nei monumenti e nelle celebrazioni, anche la memoria di chi ha lasciato casa e non è tornato più. Di ragazzi morti per caso nella neve, in un assalto senza speranza. Cent’anni fa l’armistizio con gli austriaci poneva fine all’Inutile Strage. Cent’anni dopo, ventidue ragazzi giocano a calcio alla Vernuga.
È un pomeriggio di autunno mite ma sincero, di quelli che l’aria ti dice chiaro di portare la giacca ma puoi goderti un po’ di tepore al sole. Alla Ganda arriva il Veduggio, neroverdi di Brianza con cui ci incrociamo da tre anni consecutivi, centravanti quel Pedro Pereira che due anni fa segnò dopo un coast-to-coast favoloso, fiancheggiato da ali ficcanti. Noi siamo sempre i soliti, almeno nella disposizione: 4-4-2, in porta Lele, dietro Cian-Matteo-King-Roby, a metà Pane-Gioele-Claudio-Viso, davanti Python e Nick. Siamo sul pezzo ed è una notizia, aggrediamo con costanza, teniamo la difesa abbastanza alta e di tanto in tanto rischiamo sulle palle profonde, ma Lele è bravissimo in uscita. Al ventesimo il vantaggio: Gioele suggerisce bene per Pane che entra in fascia, crossa e prende calcio d’angolo; prende calcio d’angolo e lo batte lui, e lo batte su Python che svetta in area come una statua greca e fa gol di testa. Siamo davanti e la partita la fanno principalmente loro, e ad un certo punto Pedro Pereira è lanciato verso il pareggio ma Lele gli esce in faccia con coraggio; in un paio di occasioni noi sgasiamo sulle fasce con Pane e con un Viso molto in palla, ma il risultato non cambia. Andiamo negli spogliatoi che è 1-0.
I templi della Grande Guerra sono le creste e bocchette di montagna. Lì sono il filo spinato e le trincee, le cittadelle costruite sui crinali, i nomi delle divisioni Quinto Alpini e Battaglione Ortles immortalate nelle insegne dei bivacchi. Il buio e il gelo e le fotografie consunte nei rifugi. Il silenzio, più di tutto, il silenzio.
Il Sacrario Militare del Passo del Tonale nasce nel 1922 come monumento alla Vittoria alata, la prima pietra posata da re Vittorio Emanuele III. Nel 1936 viene ampliato ad ospitare le spoglie dei soldati e oggi custodisce i resti di 847 caduti su quel fronte, conosciuti e ignoti, italiani e austriaci, gli ultimi ritrovati tra i ghiacciai pochi anni fa. A Grosio non si sparò, la cannoniera della Vernuga e le fortificazioni del Passo Verva costituivano la seconda linea di difesa che la strage non raggiunse. Ma 73 grosini partirono, salutando la morosa e la famiglia, andarono a combattere e morire lontano dalla mamma. Il più giovane aveva 17 anni.
Alla Ganda scende il sole e inizia la ripresa, e il Veduggio entra in campo determinato a conquistare le nostre linee. Hanno un centromediano geometrico che sa far girar la palla aspettando che maturino le condizioni per prendere terreno, e quando maturano gioca avanti con precisione e sicurezza; sapientemente diretti dal suddetto centromediano, i terzini salgono spesso a scambiare con le ali creando uno schieramento che ci avvolge e fa star bassi, bassi, bassi. Noi la vediamo poco e cediamo campo e giochiamo quasi tutto il secondo tempo in trincea, a ribattere palle lunghe e cross lanciati in mezzo come granate, ora da punizione, ora da calcio d’angolo, ora da azione di gioco. Un paio di volte ci infilano ma Lele è bravo a respingerli, prima con un’ottima uscita bassa, poi con una bella parata tra i pali. Soffriamo a denti stretti, ma alla mezz’ora abbiamo l’occasione che potrebbe chiudere la partita (oddio, chiudere, diciamo portarci sopra con due gol di scarto): Cian recupera una palla confusa sulla destra e la infila profonda per Pane, il difensore arriva a chiudere e copre il pallone verso la rimessa o il calcio d’angolo, ma Pane lo uccella e vola in area e quando alza la testa ce ne sono tre dei nostri e lui la mette, ma non entra; il difensore uccellato rimane a terra in imbarazzo millantando un infortunio. Non segniamo e loro riprendono l’assedio, e dai che ti dai che ti dai a cinque dalla fine passano: è l’ennesima punizione dalla fascia, l’ennesimo pallone scodellato in mezzo nella mischia, ma questa volta lo prendono loro e fanno gol. Di lì in poi succede mica tanto, e finisce 1-1.
Girano le palle per come si era messa ma il pareggio ci sta, e ci sono buone nuove: il solido dinamismo di Viso; il sacrificio lucido e costante di Python e Nick; la tigna instancabile di Gioele; la tenace sofferenza di tutti; la grande partita di Lele; la ferocia difensiva di Matteo; e probabilmente un sacco di altre cose che dal nostro angolino altezza campo con davanti le reti e le sbarre del cancello non abbiamo visto. Soprattutto, si guarda avanti fiduciosi: domenica scorsa parevamo una marmaglia alla deriva, oggi un reggimento che marcia compatto verso l’obiettivo.
Prima di sera, andate su Youtube e trovate il tempo di ascoltare The Green Fields of France, meravigliosa ballata in stile irlandese che canta la Grande Guerra e i prati verdi del fronte occidentale, su cui oggi è tornata l’erba, su cui il 25 dicembre 1914 si posarono le baionette, tacquero i mortai e le mitragliatrici: era la Tregua di Natale. I soldati dei due schieramenti spontaneamente misero in pratica l’auspicio del papa rifiutato dai governi in guerra, fecero “tacere i cannoni nella notte in cui cantano gli angeli”. Si incontrarono senza armi nella Terra di Nessuno per cantare insieme, scambiare doni, tagliarsi i capelli. Giocarono a calcio. Per una giornata dimenticarono la guerra correndo dietro a un pallone, come oggi giochiamo alla guerra correndo dietro a un pallone.
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