Come Iva Zanicchi e Mohammed Ali. Mentre fuori le montagne sono un’istantanea seppia e sempreverde. Nel vento che trascina spine di acqua gelida da un’altra generazione, nel cielo color del cotone in ombra, nelle nubi che avvolgono le cime una speranza: la neve. Le sedie dell’Algida scolorite dal sole e maltrattate dalla bufera, plastica in frantumi agli angoli del campo da tennis. Nascere, e rinascere quando finalmente arrestano l’uomo che fece uccidere tuo padre e ti inchiodò su una sedia a rotelle. Nascere e rinascere in una domenica di gennaio, quando la fortuna che ti sei sempre meritato alla fine ti sorride.
Prima giornata di ritorno, a Grosio arriva il Berbenno per un quasi testacoda: loro sono lanciati in vetta alla classifica, noi sprofondiamo al penultimo posto. I nostri sono schierati col 4-3-3: in porta Pota, dietro Matte, Dany, King, Roby, Claudio mediano frangiflutti fiancheggiato da Mare e Samuele, centravanti Nick e sulle ali Pane e Viso; loro giocano una sorta di 4-4-2 asimmetrico in cui l’ala sinistra è spesso alta con le punte, che sono i bravi Mevio e Fontana. Il vento tira forte verso valle e gli ospiti provano ad approfittarne da subito tirando il calcio d’inizio direttamente in porta: apprezzabile l’idea, fallimentare l’esecuzione. Noi siamo tonici, fatichiamo come sempre palla al piede ma difendiamo aggressivi, sporcando la manovra del Berbenno non appena raggiunge i centrocampisti. Loro non riescono a esprimere il calcio che avrebbero nei piedi, e il loro puzzle offensivo si compone di tre tasselli variamente combinati: l’imbucata per punte e/o ali dietro la difesa, la ripartenza veloce, la palla lavorata sulla sinistra e poi tirata o crossata verso il secondo palo tipo Insigne nel Napoli di Sarri. Nessuna delle armi è efficace, perché leggiamo bene la profondità, perché un paio di contropiedi sono fermati da fuorigioco fischiati al microscopio, perché Matte preso in mezzo da Fontana e l’ala a volte va in difficoltà ma perlopiù regge l’urto. E noi, come si attacca? Essenzialmente coi calci piazzati e le ali. Alla mezz’ora abbiamo la più grossa occasione del primo tempo: punizione dalla destra di Nick, il portiere esce male e la palla salta verso Pane che ha la porta spalancata ma il corpo all’indietro, e non riesce a dare forza; si riscatta però due minuti dopo: è nella parte laterale dell’area di rigore spalle alla porta, marcato, e con una frustata in velocità converge saltando il difensore che allunga la gamba e Pane cade. Dalla tribuna non sembrerebbe fallo, ma l’arbitro è lì e fischia: sul dischetto va Mare che insacca potente e rasoterra alla destra del portiere. Passa un altro quarto d’ora col Berbenno che vorrebbe ma non riesce, noi che aspettiamo pazienti senza rischiare nulla. Verso la fine del primo tempo gli ospiti reclamano un rigore: dalla tribuna sembra un corpo a corpo al termine del quale l’attaccante perde palla e prova a cadere, chissà, in ogni caso l’arbitro non fischia ed esce tra le rimostranze di giocatori e dirigenti rossoblù. Intervallo.
Intervallo motivazionale. Mare è il figlio talentuoso e prediletto della famiglia tifosa del Grosio: ci fa godere quando ricama coi piedi, ci fa incazzare quando insiste in proteste inutili. Questa domenica gli si urla sulle proteste, più volte, e lui ne ha giustamente piene le palle quando rientra negli spogliatoi. Facciamo un patto: noi non diciamo più niente a Mare, Mare non dice più niente agli arbitri. Se ci riusciamo, rischiamo di vincerle tutte.
Intervallo arbitrale. Il Berbenno influenza l’operato dell’arbitro nel modo metodico che hanno i professionisti e le squadre valtellinesi che ambiscono a vincere la Prima Categoria: i giocatori cadono al momento giusto, nel modo giusto, col rumore giusto; nelle proteste il capitano scosta i compagni e cerca di convincere l’arbitro che è scemo o cieco, con buona educazione e rispetto dei ruoli; le urla sguaiate sono lasciate alla panchina, che tanto se anche butta fuori qualcuno è uguale. È un approccio molto più digeribile ed efficace delle nostre incazzature isteriche, ma per fortuna questa domenica frutta solo un paio di ammonizioni dubbie, e qualche punizione dalla trequarti battuta in fretta e senza risultato.
Intervallo tattico. Premessa: la tattica calcistica è quella scienza meravigliosamente inesatta che permette a noi stronzi seduti da Renzo a leggere la Gazzetta di dare dello scemo a un allenatore professionista che respira calcio da decenni. Chi scrive è uno stronzo che domenica anziché essere da Renzo era al campo sportivo, e gli è sembrato di notare una serie di benefici della mediana a tre: Claudio che resta ancorato in mezzo a tamponare pericoli e contropiede; Mare e Samuele che hanno libertà di avanzare o aggredire senza aprire voragini; davanti alla difesa ci sono tre corpi che impediscono a gente brava come il Berbenno di giocare, che con la loro attrazione gravitazionale mantengono i corpi delle ali più bassi evitando di squarciarci in due tronconi. E la fase offensiva? Mah, forse non perdiamo così tanto: Nick compone calcio con l’intelligenza sinuosa di un Riquelme spostato venti metri avanti; sui calci piazzati diciamo comunque la nostra; e poi vediamo chi saprà correre dietro a un attacco che può schierare Pane, Cesco, Gilardi.
Inizia il secondo tempo, e abbiamo il dubbio che vengano a sbranarci ma non è così: le prime due palle buone sono nostre, due inviti in profondità di Nick per Pane e Mare per Nick che purtroppo non cogliamo. Dopo dieci minuti loro pareggiano: punizione dai 20-25 metri che il bravo Fontana calcia veloce e precisa sopra la barriera infilando Pota nell’angolino basso. E di nuovo abbiamo il dubbio che vengano a sbranarci ma non è così: i nostri aggrediscono con applicazione feroce e creano più di un pensiero sui calci piazzati. Passa il tempo e si rimane in parità, il tifo caloroso delle tribune e la tensione del derby scaldano la partita, che non ruba l’occhio ma fa tremare le vene. Il mister del Berbenno chiama tanti cambi passando tra le linee rossoblù l’ordine di vincere: i giocatori recepiscono, ma forse sono tanto bravi e abituati a esercitare un controllo tecnico sulle partite da non accorgersi di non avere per nulla il controllo emotivo, per una volta nelle mani del Grosio, che ribatte, si affaccia, soffre, senza rischiare quasi nulla. Fino al novantacinquesimo minuto, battezzato dai due protagonisti di giornata: il vento e il Mare. Punizione dalla trequarti per noi, che Claudio batte alta e lunga, che il vento trasporta fino al secondo palo; lì, vicino alla linea di fondo, in quello spicchio d’area senza gloria da cui si mettono in mezzo solo rimpianti, lì c’è Mare che al novantacinquesimo minuto è abbastanza umile e intelligente da fare una torre verso il centro; Nick mette i guantini ai piedi e addomestica la palla, la addomestica per King che spalle alla porta prolunga in rete con una torsione del destro innaturale e raffinata. Tre fischi, tre punti, delirio.
Nascere a gennaio, un paio d’ore tra le braccia della mamma e via nella mischia. Il caldo stantio del reparto di maternità increspato da correnti d’aria a ogni porta socchiusa. Una patina di acqua lucida sul porfido del Morelli, e prima della portineria un’Ave Maria a led blu che pare presa da un episodio di Gomorra. A Tiolo l’ultima luminaria ancora accesa augura buone feste; in paese sono tutte spente, ma il pallone appeso di fronte a Pio nella luce dei lampioni sembra una luna piena. Oltre le braccia della mamma: l’anno nuovo e il lunedì. E pomeriggi a finire i compiti delle vacanze, mani gelide fuori da Messa, pranzi in famiglia e saluti prima di partire. Lacrime e calore e pupazzi di peluche, il caldo della stufa e le labbra screpolate. La vita, la vita in ogni suo inestimabile minuto.
A partire dal novantacinquesimo.
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