Certe cose sai già come finiscono. Non solo: conosci anche ogni singolo passo che porta verso l’inevitabile, come un videogame cui hai giocato mille volte. Alcuni esempi: i film americani in cui i protagonisti attraversano pericoli e tragedie, ma finiscono sempre per trionfare. Le saghe di Dragon Ball in cui arriva un cattivo da un altro pianeta e uccide un paio di buoni che tanto poi resuscitano e alla fine il cattivo viene sconfitto e diventa buono anche lui. O ancora: la Messa, un’interrogazione per la quale non hai studiato, le stagioni, i temporali, il ciclo mestruale. Ma se la convinzione che il soldato Ryan tornerà a casa sano e salvo permette di godersi morti e feriti mangiando con ottimismo i pop-corn, non c’è nessun piacere nel sapere in anticipo che Calolziocorte-Grosio sarà una partita brutta, nervosa, che alla fine perderemo. Solo sofferenza e tedio.
Ma noi continuiamo a guardare la luna sperando che un giorno ci mostri la faccia nascosta, e mangiamo la polenta in fretta per andare a Calolziocorte con largo anticipo, perché non siamo ancora abituati alla tangenziale di Morbegno e perché comunque non si sa mai. Il campo di Calolziocorte è in riva al lago (il lago di Olginate, che è dopo il lago di Garlate che è dopo il lago di Como: non una gran roba, ecco) e ha una pendenza di drenaggio esagerata, così che se guardi da una linea laterale all’altra sembra di vedere la curvatura della Terra o Holly e Benji. Ma le dimensioni sono regolamentari, forse addirittura un po’ piccole, e per andare da una porta all’altra ci vuole molto meno di una puntata lunga mezz’ora. Il Grosio scende in campo col 4-3-3: in porta Pota, difesa a quattro con Matte-Dany-King-Roby, centromediano Claudio, interni Mare e Gioele, centravanti Nick e sulle ali Pane e Viso; anche loro sono schierati a 4-3-3, e da punta sinistra gioca il numero 11 coi capelli lunghi che ci segna sempre. Il campo fa schifo, e si respira la tensione dello scontro diretto, e l’ovvio prodotto dei due fattori è una partita orrenda. Poco spazio per giocare, poca tranquillità, poca prevedibilità del comportamento del pallone: tra noi e loro si vedono raramente più di cinque passaggi di fila. Loro hanno una buona occasione col centravanti: cross da sinistra che scavalca i nostri centrali e va verso il secondo palo, e il centravanti di testa manda alto; noi abbiamo un paio di corner e punizioni malcalciate che sfiorano appena l’idea di pericolo. La cosa più notevole del primo tempo finisce per essere l’infortunio di Roby, che intorno al quarto d’ora perde conoscenza in campo come il più classico dei Julian Ross: fortunatamente si tratta “solo” di un colpo alla testa, che comunque lo costringe all’uscita e a un controllo medico. Dieci minuti di recupero e poi l’arbitro fischia, e vien voglia di girarsi dal papà e mugugnare <Uffa, ma l’ha già letto il Vangelo?>; ma poi vedi il lago di Olginate e ti ricordi che gioca il Grosio e che ti piace.
Finita la predica inizia il secondo tempo, ed è uguale al primo: noi giochiamo poco, loro giocano poco, la partita è nervosa. L’arbitro sembra molto giovane, forse è inesperto, di sicuro sbaglia distribuendo gialli esagerati che esacerbano la tensione (a un certo punto il Grosio ha cinque ammoniti per falli di gioco e il Calolziocorte zero, e non è che loro giochino a ramino, checcazzo). Intorno al decimo minuto si fissa la prima tessera dell’inevitabile: il Calolziocorte va in vantaggio. La palla è sulla destra, su azione di gioco o forse su calcio di punizione: cross in mezzo che scavalca i nostri centrali e pesca ancora il centravanti sul secondo palo, Pota sbaglia a non uscire e si ritrova addosso l’attaccante che di testa schiaccia in rete. Passa poco che la mitragliata di ammonizioni insensate miete la prima vittima in Claudio. Siamo sotto e uno in meno, e si direbbe sia la fine ma non lo è: al Calolziocorte viene il braccino e noi prendiamo campo, e anche se non siamo mai pericolosi la partita è viva. Loro mettono dentro uno che si chiama Abba e fa venire in mente Abbà Padre e Mamma Mia (degli Abba). Noi mettiamo dentro Python e Cesco, ma in modo diverso sono entrambi disabituati al campo e non sanno essere efficaci. L’arbitro zoppica su una stampella gialla per mantenere un equilibrio che non ha, ma quando il loro centrale difensivo stende Pane da dietro lui mette mano al taschino e poi la ritrae, memore di averlo già ammonito: delicatezza che con Claudio non ha avuto, e un po’ fa rabbia. A poco dalla fine Alessio urla un’espressione ingiuriosa e si fa espellere, a un po’ più poco dalla fine si fa espellere anche il loro centravanti (doppia ammonizione? Indovinato). Dieci contro nove, siamo all’assalto all’arma bianca che lascia spazi dietro: loro ciccano due contropiedi e noi non pungiamo, fino all’ultima azione. Punizione da centrocampo, zona destra, tutti in area incluso Pota; la palla spiove verso il limite dell’area mentre la linea di difesa retrocede, il terzino destro salta ma riesce solo a spizzare dietro di sé per Cesco che è tra il dischetto e l’area piccola; Cesco che è solo, che la stoppa, la sistema, si apre l’angolo, tira alto a giro sul secondo palo, e il portiere devia miracolosamente; sulla traiettoria uscente c’è Pota, che salta come Ed Warner o Emiliano Rampulla, che la tocca, che la tocca, che la tocca verso la porta…ma va fuori. L’arbitro fischia la fine, e come succede spesso (sempre?) a Calolziocorte sono zero gol e zero punti.
Con la rabbia di chi ha perso una partita chiave lasciamo malinconici il lago di Olginate, avviandoci verso casa nel chiarore decadente di un tardo pomeriggio lacustre. Quando usciamo dalle gallerie si è fatto buio, è appena spuntata la luna piena. Luminosa e bellissima, vien voglia di uscire dalla superstrada e fermarsi ad ammirarla. Ma basta una veloce occhiata attraverso il parabrezza per cambiare idea: è sempre la solita faccia, rotonda come uno zero.
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