Entrando a Berbenno dalla bassa valle ti saluta Arianna Fontana, orgoglio del paese immortalato in uno striscione i cui colori rosolano nel sole presuntuoso di inizio settembre. Vicino, uno striscione della festa del Beer Ben. Cavalcavia, capannoni commerciali, Hotel Salyut. Gli allagamenti della Statale, il castello di Roccascissa. Il birrificio. Matarra. Il campo sportivo sotto montagna, la prima giornata di campionato.

Il Berbenno è una squadra forte. Molto forte. Schiera un 4-3-3 con almeno due-tre giocatori di categoria superiore: il terzino Zoaldi e l’attaccante Fontana hanno giocato a Sondrio, davanti alla difesa c’è Riccardo Romegialli che a memoria è stato a Lecco e poi ha fatto la Promozione tra Colico e Morbegno; centravanti il Mevio ex Pontese che ha una discreta capacità di giocare col fisico, l’altro attaccante è Bertolini che l’anno scorso era a Morbegno e fu espulso nell’ultima partita contro il Grosio. Noi schieriamo un 4-4-2 che vede in porta Pota, dietro Matteo-Daniele-King-Roby, mediani Mare e Claudio con sulle fasce Pane e Gilardi, davanti Nick e Cesco. Il primo tempo è equilibrato, e un po’ ci facciamo preferire: determinati e frizzanti lasciamo loro poco tempo per ragionare, Cesco semina terrore ogni volta che prende palla, cambiamo abilmente gioco per isolare le nostre brave ali contro i terzini avversari; loro manovrano poco, lanciano su Mevio che scende a prenderla di fisico à la Mandzukic, oppure cambiano gioco per isolare Fontana che però è nervoso e fumoso. Manteniamo un certo predominio senza riuscire ad essere davvero ficcanti, e succede che intorno alla mezz’ora vanno in vantaggio loro: palla inattiva giocata in mezzo, palla respinta dalla difesa, mischia in area, palla che carambola fino a qualcuno che la mette dietro i difensori per Bertolini; Bertolini è in fuorigioco di un metro e mezzo ad occhio, ma l’arbitro non coglie fuorigioco né attimo e Bertolini segna. Spingiamo alla ricerca del pari ma creiamo una sola vera occasione, con colpo di testa di King sulla traversa. Finisce il primo tempo.

Arianna Fontana ha pubblicamente criticato la FISG (Federazione Italiana Sport del Ghiaccio) per non aver assunto suo marito come allenatore della squadra femminile di short track. Il suo rammarico più grande (di Arianna, non del marito) è che la Federazione non si fidi del suo giudizio riguardo a cosa serve per vincere.

Inizia la ripresa, e ben presto ci sgonfiamo. Siamo totalmente sulle ginocchia, fatichiamo a rimanere legati, Claudio e Mare pagano il prezzo più alto: un po’ la posizione esposta, un po’ sono i due più stanchi, vengono sempre superati. Il Berbenno comanda facilmente il gioco, forte di qualità tecnica e gestione sapiente del pallone. Intorno al quarto d’ora Mister Polattini cambia Claudio per Python, la cui fisicità ci alza istantaneamente di una decina di metri: abbiamo un sussulto di qualche minuto in cui sembriamo avvicinarci al gol, ma poi Python viene ammonito e la stanchezza avanza, e torniamo a farci sovrastare. Per lunghi tratti non ci fanno vedere il pallone, e quando lo prendiamo siamo frenetici nelle scelte e poco precisi nelle esecuzioni, e insomma facciamo presto a perderlo. Nel finale ci lanciamo avanti con la generosità di un Totò Schillaci, aprendo però voragini difensive in cui il Berbenno si getta sfiorando più volte il raddoppio. Il raddoppio non arriva ma neanche il nostro gol, e finisce 1-0 per loro.

A proposito di cosa serve per vincere: tutti conoscono la vicenda del pattinatore australiano Steven Bradbury, alle Olimpiadi di Salt Lake City. Se non la conoscete, cercate il video su Youtube. Se non avete voglia di cercare il video, ve la raccontiamo noi: Steven Bradbury è stato ultimo per tutta la finale dei 1000 mt, ultimo di tanto, ma poi ha vinto l’oro perché tutti gli altri sono caduti prima del traguardo; stessa cosa in semifinale: ultimo per tutta la gara, si qualifica secondo perché cadono in tre; nei quarti di finale si era classificato terzo, ma uno è stato squalificato e lui ha passato il turno. Un’epopea comica, dietro cui si nasconde però una vita favolosa. Bradbury è un talento precoce, vince l’oro mondiale a Sidney che non è ancora maggiorenne; di fronte un futuro luminoso, che si rabbuia di colpo a Montréal, a 21 anni: sta gareggiando sui 1500, si scontra con uno la cui lama dei pattini gli apre l’arteria femorale, e perde quattro litri di sangue. Rischia di morire, ma poi torna. Torna, e qualche anno dopo si frattura il collo in allenamento. Rischia ancora, resta fuori, ma poi torna. Torna e non molla, arriva a Salt Lake City e diventa un eroe. Tanta tenacia, rispetto delle regole, e un po’ di culo: anche questo serve per vincere.

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