In agόst la marénda as la fa inde l bόsch. Lamponi, mirtilli, fragoline, capeléti e da qualche parte l’acqua, tra alberi che visti da Grosio paiono volti in controluce sovrastati dal cielo delle sere di agosto, bianco e luminoso come la tutina in ciniglia appena lavata di un neonato. De agόst giό l sόl l’é fόsch, e quando stanno facendo il telegiornale delle otto ed esci senza neanche avere sentito qualche novità su Modric le strade sono chiare, ma offuscate e vuote come la via centrale di un accampamento western. Il parcheggio del Palazzetto a Sondalo invece è pieno di macchine, lo è in un modo che sembra profondamente sbagliato, come un tappeto cosparso di Lego in una casa senza bambini. Fa un effetto straniante. Nuvole cupe sul Monte Storile, i fumi di un vulcano che sa eruttare solo acqua e sembra averne una voglia matta ed è lì ad ammonirti. Ma noi scendiamo dalla macchina in maglietta, che se ne fa di giacca e ombrello uno che va a vedere il Grosio?

Le tribune sono ben popolate e spiegano in parte l’abbondanza di mattoncini lego a motore di cui sopra, anche se ad occhio e croce se pur tutti gli spettatori fossero venuti con la propria macchina i conti non tornerebbero comunque. A meno che anche i giocatori e gli allenatori e gli accompagnatori abbiano viaggiato da soli, tutti liberi di andare e venire quando gli pare senza dover rendere conto a nessuno, ma sarebbe davvero troppo. L’arbitro fischia e si accende il prato verde, sotto gli alveari di fari abbaglianti in cima ai lampioni. Cominciamo bene, con ordine e distanze buone, attacchiamo la profondità con tempismo e pericolosità, e tutte le volte che Cesco prende la palla ruba il tempo agli avversari come quello che fa lo scherzo di tendere la mano e poi al momento giusto la tira via.

E poi ha cominciato a piovere, dice Mazzarri. Cosa vuole, pensi per i fatti suoi Mazzarri che ce ne ha fin sopra ai capelli, ma il fatto è che ha cominciato a piovere davvero. In campo, dove un paio di scivoloni difensivi hanno portato ai primi due dei tanti gol del Sondrio, e più che altro fuori perché il cielo alla fine ha eruttato, eccome: gocce che parevano grandine, e scendevano e si muovevano di lato e poi volevano risalire come bolle di sapone. Tutto sommato un diversivo gradito in tribuna, visto il caldo torrido di questo 9 agosto di un’estate eccezionalmente torrida, in campo un pochino peggio ma correre sotto l’acqua dà una certa soddisfazione se non stai congelando; ma se sei in campo e non corri è tutta un’altra storia. E’ la storia del guardalinee Justin Piona, che fa venire in mente quel giapponese rimasto dentro una grotta cinquant’anni a combattere una guerra che non c’era più. Piona-San è fuori e non è dentro, ma ha lo stesso stoicismo zen, accetta con braccia conserte e corpo immobile un temporale che gli bagna i vestiti, la pelle, i muscoli, che entra per osmosi nei vasi sanguigni e si diffonde in tutti i meandri più reconditi dell’organismo cantando What do you mean?, e bussa tra lampi e tuoni alla porta dell’anima. E Piona-San accosta la porta e chiede chi è, saluta il temporale dicendogli “No, grazie” e poi richiude mormorando una bestemmia, e resiste imperturbabile.

Nella ripresa cala la pioggia ma ormai il Grosio è bagnato fino al buco del culo, e un po’ quello un po’ la stanchezza emergono i difetti cronici che dovremmo proprio correggere: la ricerca ossessiva della profondità anche quando la profondità non c’è, che poi prendono la palla gli altri e sei spezzato in due e non riesci mai a rifiatare e la difesa si ritrova scoperta e non capisce bene se scappare o stringere o sperare; le proteste inutili e di gran lunga eccessive per cui riusciamo a rimediare un rosso anche in un’amichevole che stiamo perdendo un numero imprecisato di gol a zero sotto l’acqua contro una squadra di semiprofessionisti mentre il nostro portiere può giocare solo il primo tempo perché poi va a lavorare. E Mister Polattini, con jeans e giacchetta sportiva ma elegante alla Alessandro Bonan, Mister Polattini che è recordman di vittorie in Coppa Disciplina rimprovera e cerca di correggere gli atteggiamenti e c’è da augurare a lui e a tutti noi di farcela, perché chi lo sa quante vittorie tolgono espulsioni e squalifiche, ma qualcosa tolgono.

E poi finisce la partita e rimane l’odore di erba bagnata e un’ora e mezza con gli amici di sempre, e la fitta di orgoglio a vedere in campo il Grosio. Il piacere di togliersi i vestiti umidi e mettersi sotto le coperte. La serenità di una notte d’estate, le ferie alle porte e l’inizio di una nuova stagione poco in là.

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